Il silenzio di una calda notte primaverile nell'idilliaca campagna francese fu infranto da un pianto. Nel piccolo ospedale di Clermont-Ferrand, nel 2002, nacque Antonio. Un bambino come tanti, con gli occhi scuri e una chioma ribelle di capelli che gli ricadeva sulla fronte. Niente, in superficie, lo distingueva dagli altri neonati. Ma dentro quel piccolo corpo, un'anima anelava, un'anima che aveva già calpestato i prati verdi di stadi immensi, un'anima che aveva sentito il boato di milioni di tifosi, un'anima che aveva ballato con la palla come nessun'altra: l'anima di Diego Armando Maradona.
Isabelle, la madre di Antonio, lo cullava stretto, sussurrandogli ninne nanne in francese. Jean-Pierre, suo padre, un contadino robusto e taciturno, osservava con quieta contentezza. Erano una coppia normale, che conduceva una vita normale. Eppure, cullato tra le loro braccia era tutt'altro che normale.
Gli echi delle folle ruggenti erano silenziosi per loro, il peso fantasma della fascia da capitano non era percepito. Vedevano solo il loro figlio, piccolo e perfetto. Non avrebbero mai potuto immaginare il mare turbolento della memoria che si agitava sotto la sua pelle infantile, il residuo di una vita vissuta nel bagliore abbagliante degli stadi e sotto l'implacabile esame del mondo.